Le terapie in prima linea
La prima linea di trattamento consiste in un intervento chirurgico, il cui scopo è quello di asportare tutta la malattia visibile,
a seguire il protocollo prevede 6 cicli di carboplatino e taxolo, per eliminare le cellule neoplastiche rimaste.
Oggi sono disponibili delle terapie di mantenimento, per ritardare o prevenire la ripresa di malattia che sono PARP-inibitori e bevacizumab.
Le terapie di mantenimento
I farmaci di mantenimento sono i PARP-inibitori e il bevacizumab.
Queste terapie si somministrano a seconda dello stadio di malattia ( si utilizzano nei III e IV stadi) e della presenza/ assenza di alcune mutazioni o target molecolari.
Scelta del mantenimento
Per il circa 15 – 20% di pazienti che presentano la mutazione BRCA1 / BRCA2, germinale o somatica, si usano i PARP-inibitori il cui capostipite è olaparib.
Questi farmaci inibiscono una famiglia di enzimi (Poli- ADP- Ribosio-Polimerasi) coinvolti nella riparazione del DNA, nell’apoptosi (morte cellulare programmata) e in altri processi.
Sia PARP che BRCA sono coinvolti nei processi di riparazione del DNA nelle cellule tumorali e inibendo la proteina PARP si induce una forte riduzione dei meccanismi di riparazione del DNA nelle cellule neoplastiche, con la conseguente morte delle cellule malate.
Gli inibitori di PARP si usano anche nelle donne i cui tumori presentano il difetto di ricombinazione omologa HRD che comporta anch’esso un deficit dei meccanismi di riparazione del DNA attraverso ricombinazione omologa.
Nelle pazienti che presentano HRD il protocollo standard prevede l’aggiunta di un altro farmaco, il bevacizumab.
Il bevacizumab è un anticorpo monoclonale, un antiangiogenico, che contrasta la formazione e la crescita di nuovi vasi sanguigni del tumore, necessari all’apporto di nutrienti e di ossigeno, in modo da contrastare la diffusione delle cellule tumorali.
Per le pazienti che non presentano una mutazione BRCA e in assenza di HRD, la terapia di mantenimento consiste nel solo bevacizumab oppure nella somministrazione di un inibitore di PARP come il niraparib (a scelta degli oncologi anche olaparib).
I PARP inibitori hanno dimostrato importante efficacia nelle pazienti con mutazioni BRCA e HRD in cui hanno dimostrato di allungare la sopravvivenza globale (STUDIO SOLO1 e PAOLA1).
L’efficacia è minore nei pazienti che non presentano mutazioni o HRD.
Il cancro ovarico ha una elevata% di recidiva; in presenza di ricorrenza di malattia le opzioni sono limitate e c’è urgente bisogno di colmare le esigenze terapeutiche insoddisfatte per questo tumore.